Storia del comune

Dove sorge
Butera sorge sopra un monte a 402 metri sul livello del mare a 14°,111 di longitudine Est e a 370,157 di latitudine Nord.
Posta su uno sperone roccioso che domina la piana di Gela e poco distante dalla costa meridionale dell'Isola, Butera fu tra le città più importanti della Sicilia del Medioevo. Ricca, popolosa e ben fortificata, la Butirah degli Arabi divenne, con i Normanni, sede di una contea in mano alla più potente famiglia lombarda venuta al seguito della terza moglie di Ruggero. Magnificata da Idrisi, venne distrutta nel 1161 da Guglielmo I per essere stata centro dell'opposizione baronale anti-monarchica. Ripopolata con gli Svevi, fu a lungo contesa fra Angioini e Aragonesi.
Il clima
Il clima a Butera non è molto costante e spesso è variabilissimo, rigido nell'inverno e notevolmente caldo in estate. I venti predominanti sono: il greco ed il levante. I prodotti predominanti sono: i cereali, il vino, le mandorle, l'olio, gli agrumi, la frutta. Oggi si è perduto il prodotto della liquirizia.
Sull'identificazione di Butera
Nessuno scrittore fino ad oggi si è curato di conoscere il preciso nome dell’antica città, su cui ora sorge Butera, perché l’incertezza del sito di varie remote città a cui si vorrebbe quella ricondurre, è stata, per i passati e moderni storici, oggetto di molte dispute e contraddizioni.
Il sito di Butera è creduto dagli storici singolarmente ed a volte associati, quello di Gela, Bucia, Bucinna, Ibla Herea, Mactorium. Nessuno scrittore è stato in grado di dare un preciso nome dell’antica città di Butera. Ortelio, parlando di Gela, riporta l’opinione di Leander Ghezzi che dice: «sembra ad alcuni scrittori che fosse stata Gela sul sito di Butera, Gela ... nonnullis tamen Butera, videri». Cesare Orlando pensò che Gela non è quella sul sito di Butera, ma è quella sulla montagna di Monte Desusino (Ibla Herea), per ragione che da qui si vede Camarina, e fece cadere in errore Virgilio che nel libro LII dell’Eneide al verso 701 dice: «Apparet Camarina procui campique geloi, immanis Gela. » Orlando lo disse, forse, per non rendersi nemico né di Licata, né di Terranova, perché da due secoli andava avanti una lotta per l’identificazione che Gela era Licata.
La questione venne poi risolta dallo Schubring che chiamò: «der rhodischkreschen Pfanzstadl», pianta della città rodiocretese, e poi da Cluverio contro il Fazello, Amico contro Arezzo e Pizzolanti, Dimenza Vella contro Linares; non resta alcun dubbio a credere che sia Terranova. Holm e Schubring dopo aver fatto studi storici e topografici su molte contrade dell’isola, hanno dimostrato che Gela fosse Terranova. Ciò viene dimostrato dallo stesso Cluverio che ha trovato l’esistenza di un tempio dorico con colonna di stile corinzio sita a Mulino a Vento e per l’esistenza di ceramica raccolta nei dintorni di questa città. Lasciando Gela e ritornando a Butera, molti scrittori dicono che Butera sia stata nel sito di Bucia, ma Amico lo ricava dalle tavole di Tolomeo: «Cuius meminit Ptolemoeus» però lo ritiene d’incerto sito «oppidum vetustissimum incerti situs». Bucia in Sicilia non è mai esistita, forse furono lette male le tavole di Tolomeo e al posto di Buera (promontorio) lessero Bucia. Baudrand ed Hoffmann asseriscono che la città sorta sull’attuale Butera sia stata quella di Stefano Bizanzio e Maurolico che chiamano Bucinna ed altri Bucina o Bucinia. Ciò è stato creduto anche dal Massa e il suo nome latino sarebbe stato Bucinna e non Buterium. In Sicilia non c’è mai stato questo nome, Plinio dice che Bucinna era un isola dirimpetto a Trapani che Tolomeo chiamò Phorbantia (levanzo). però Nicolosio, Villabianca, la Rocca ed altri dicono che la posizione di Butera è quella dove fiorì una delle tre Ible, che fu detta Ibla Minima, per come è stato detto da Antonio, Stefano Bizanzio, Bochart e Cluverio, oppure sia Ibla Hera o Hybla Nera, secondo Maurolico «Cleandri coede infamis». Fazello, pur avendo girato la Sicilià per ben tre volte, a piedi, per conoscere i luoghi ed osservare le rovine dell’antichità, non era riuscito ad assicurarsi l’identità di Butera con Hybla Minima, purtroppo, parlando di Butera dice: «Buterium refugit, oppidum antiquitatis Pleraque ostentans monumenta; quod an Hyblea Minima fuerit non assero» Cluverio non trovato menzionato né in Pausania, né in Strabone il sito di Herea, volle cercare di determinarlo e dopo accurati studi e ricerche determinò che Hybla era dove c’é Ragusa.
Però Stefano Bizanzio diceva che le Ible erano tre in Sicilia, delle quali la più grande si chiamava Megara, la piccola, i cui cittadini, secondo Tucidide erano detti Geleati e secondo Pausania Gereati (dove si trova la dea Ibla) èPaternò, la minima, detta Herea, trovasi a diciotto miglia da Acre, ma Cluverio non dice la medesima cosa,perché conclude che tale Ibla è Ragusa e che è Hyblea Herea. Ragusa trovasi si a diciotto miglia da Acre, ma anche Chiaramonte ha la stessa distanza da Acre. Allora ritorna l’affermazione di ciò che aveva detto Fazello, Butera non può ritenersi sorta sulle rovine della Herea, anche il presupposto dell’etmologia della parola Butera, composta dal suo fondatore Butes ed Hera, non è esatta. Amari dice che forse Butera deriva da altro significato, di due parole arabe, non da Abu thir, che hanno significato di postula e di acqua che spicca da rupe, e che dalla stessa radice viene la parola italiana buttero del vaiolo, ma la u mi avverte ad andar piano con la etimologia araba; poiché non appartiene alla forma dell’aggettivo. Piuttosto, egli conclude, riferirei l’etimologia di Butera al latino butyrum, o meglio porrei il detto nome tra le migliaia di cui l’etimologia è incerta, e chi si mette a ricercarla è trascinato a supposizioni stravaganti, e conclude dicendo: «ho esposto le dette opinioni affinché nulla resti trascurato sull’argomento Butera». Altri scrittori dicono che Butera sia stata l’antica Mactorium, come Ferrara; Arezzo dice che è Milo, Airoldi ed altri dicono Mazzarino. Ma Mactorium, città antichissima, è ricordata da Erodoto, Stefano Bizantino; altri dicono che trovasi sopra Gela, ed Erodoto scrive che Mactorium servì di rifugio ai Gelesi, vinti in sedizione dai nemici «Cives nonnullis geloi in seditione vieti ab adversariis, in Mactorium oppidum confugerunt, supra Gelam situm. » Mactorium già conosciuta dai Greci, non fa pensare ad una colonia greca, ma ad una città già esistente prima dei Greci.
Lo stesso Fazello aveva detto in passato, che Mactorium non poteva essere Mazzarino, e concludeva: «Mazarenum oppidum, quod qui Mactorium fuisse asserunt, in sole plane coligant». Cluverio spingendosi ancora sulle osservazioni, fu concorde a Fazello ed aggiunse che le rovine di Mactorium sono presso Butera: «Apud Terranovam extare veteris Geloe riliquas supra docui ruinae igitur istae apud Buterium oppidum ab antiqui Mactorii situ minime abhorrent. » Erodoto dice che Mactorium doveva essere città munitissima tanto da render sicuri i Gelesi vinti e sgominati, e Butera, più che Mazzarino, sorge in un luogo per natura fortissimo, dice ancora che doveva trovarsi vicino Gela supra gelensem agrum e Amico aggiunge inter Gelam et Naufrium amnes.
A questo punto io aggiungo che non è possibile che questi Gelesi abbiano voluto ricoverarsi in Mazzarino che corre tanta distanza. Un esercito sgominato si sarebbe mosso così verso un punto lontano, attraversando varie serie di monti, i più alti che vi si trovano, quando a breve distanza si presentava loro una rocca accerchiata da tanti baluardi, quali possono ritenersi le montagne che circondono la città di Butera.
Dovrebbe così supporsi che, senza motivo alcuno e senza pro avessero voluto passare oltre Butera, a Mazzarino che è un colle e non un monte, distante 15 Km da Butera, che presenta una pianura aperta da tutti i lati. E da aggiungere ancora che Mazzanno deriva da Maccarina e non da Mactorium. Anche un nostro compaesano, Gaetano Vullo Guzzardella, nelle sue "notizie storiche su Butera e suo territorio" e"Della dominazione dei greci in Sicilia" volle trovare Mactorium nel sito di Butera e non riuscendo concluse riportando l’opinione di Alessi.
I Casali di Butera - Monte Desusino
A Disueri vi fu una delle più antiche abitazioni Sicane, verso il 1000 a.C; era una vera città, frazionata in diversi abitati, e va considerata come una delle posizioni militari e politiche più importanti, forse la principale di tutta la regione. La fortezza di Monte Disueri appoggiata su eccellenti posizioni naturali, mirava a sbarrare il varco, per il quale dalla valle di Gela, lungo la spaccatura segnata dal gran fiume Disueri-Gela, è aperta verso l’interno dell’isola. Con il rafforzarsi dei Greci, il Villaggio di Monte Disueri, scomparve arretrando verso Butera. La vera necropoli rupestre di Disueri è tipologicamente legata alle grandi necropoli della tarda età del bronzo e dell’età del ferro della Sicilia. Le tombe rinvenute sulle pareti rocciose sono oltre 2.000 specialmente nelle zone della Palombara e della Fastuccheria ove sulle sommità trovarono posto gli abitanti Indigeni, come risulta dai corredi funerari ivi rinvenuti, appartenenti a fasi piuttosto arcaiche della cultura di Pantalica Nord (1200/1000 a.C); abbondano la ceramica rossa, quella piumata e i bronzi coevi. Alle falde del Monte Disueri, in località Marchito, si riscontra una fattoria greca i cui frammenti di ceramica con iscrizione dedicatori ERAKLES, sono databili al VI/V sec. a.C.
Muculufa
Sul Casale di Muculufa, territorio di Butera, si hanno testimonianze del periodo preistorico e dell’età romana. Questo argomento, scrive Graziella Fiorentini, Soprintendente ai beni culturali ed ambientali di Agrigento, sarà discusso in occasione di un convegno di studio di specialisti in merito. Faranno il punto delle attuali acquisizioni storiografiche, storiche e archeologiche in un quadro più grande che potrà offrire nuovi elementi e suggerimenti per la nostra conoscenza, attraverso un programma sistematico di ricerche. Salvatore Sciuto dice che la storia ha lasciato delle tracce più o meno consistenti sulle necropoli di Girgenti e Castrogiovanni e sulle città di Sutera, Noto, Licata e Butera; i castelli, i casali e le terre, ma resta un vuoto tra i capisaldi dell’età ellenistica e le fondazioni dell’età moderna e spesso c e un rudere, un documento, un castello o un pezzo archeologico a renderlo meno vuoto e spesso a riempirlo. A Muculufa con i recentissimi scavi son venuti fuori nuovi materiali che ci danno la posssibilità di riflettere non solo su Muculufa ma anche su altre città. Muculufa è stata una fortezza Saracena espugnata dal Conte Ruggero nel 1085; è una collina nella valle del Salso che s’innalza dolcemente sino a 200 metri ma s’impenna bruscamente con una cresta rocciosa frastagliata che raggiunge i 355 metri. Ha una formazione naturale con un’ampia base d’appoggio che salendo si stringe con una potente lama di calcare a Est-ovest dalle pareti a picco. Ad Ovest un taglio della formazione calcarea permette un passaggio da settentrione a meridione della collina; ricorda l’era del bronzo ed un articolato villaggio della civiltà di Castelluccio con grande metropoli rupestre sul lato meridionale della cresta rocciosa, un castello Musulmano, una miniera di zolfo, aperta tra le guerre mondiali, sul versante settentrionale, oggi abbandonata. Altre testimonianze archelogiche dimostrano che il territorio di Butera, è stato abitato oltre che dagli Indigeni, dall’età del bronzo, anche dai Greci che potevano vivere senza timore nelle fattorie o in piccoli villaggi sparsi per la campagna; essi sono: Milinciana, Priorato, Marchito, Fiume di Mallo (ove esiste un tempio greco del V secolo), Suor Marchesa, ludeca, San Giuliano, San Giacomo, San Pietro, Inviata, ecc. Dette zone nel sec. V a.C. vennero abbandonate a causa delle incursioni sulla costa e gli abitanti si trasferirono nella roccaforte di Butera. Durante il periodo romano nascono le strade Agrigento-Catania e Agrigento-Siracusa ed a Suor Marchesa, punto d’incrocio delle due vie, nasce una stazione ed una seconda a Priorato ove ritorna a vivere la popolazione.
Il Litorale di Butera
Anche Butera ha avuto ed ha il suo litorale ed il Massa fa questa descrizione. Esso ha inizio da un sasso molto grande, elevato in alto, ove l’acqua era di 10 passi e ne ha circa 150 di circonferenza, unito al continente per una parte di arena per poco, poi il mare s’ingrossa e la copre ed il sasso ne resta isolato. Il sasso è detto di San Nicolò; a distanza di circa 20 canne dal lido v’è un altro sasso dello stesso nome ma più piccolo e poi c’è la spiaggia che è chiamata con lo stesso nome di San Nicolò , con varie curvature aperte ed esposte in veduta di ognuno e poi seguito di scogli che serpeggiando formano un gomito, che è chiamato Cala per detto di Camilliano; vi si sono ricoverate, molte volte navi da carico mentre il mare era rotto, in fortuna. Per custodia di detto lido e per l’esistenza di un promontorio venne edificata una torre detta di Falconara e per comodità anche un’osteria. Presso Falconara vi fu anche un ridotto per piccole barche, poi abbiamo il vallone di Tiziato, sempre asciutto, tranne quando dai vicini monti calano le acque piovane, e poi vi sono le timpe di Turbazzi, la spiaggia detta Carruba, chiamata così per il fiume Carruba (larrubba dalla voce Saracena) ma non ricco d’acqua e nei mesi estivi è sempre secco. Appresso c e il fiumicello Naufrio, chiamato anche Manfria; nasce sotto Bute4ì ed entrando in mare con le sue acque può ricevere quattro galeotti ,chiamato da Edrisi Porto di Butera; Marsa Buthiro, qui mette fine il territorio di Butera.
Falconara di Butera
Falconara, fu la maremma meridionale dell’isola tra il torrente di San Nicolò e la foce del fiume Carruba; dal latino Arx Falconera, da Maurolico, Fazzello, Carafa è detta Falconara, Da Cluverio Falconaria, ed ancora da Maurolico Briet. Il fiume Carruba nasce dalla fonte di San Pietro, quattro miglia distante dalla foce e versa le sue acque nel mare d’Africa tra il fiume Naufrio e la rocca di Falconara. Il Naufrio nasce sotto Butera da cui prende il nome e a sei miglia da Terranova versa le acque nel mare d’Africa. Falconara è ricordata da Edrisi come Marsà as Saluq, porto di scirocco, vi sorge una grande torre quadrangolare intorno alla quale si è sviluppato l’attuale Castello. Fu concesso nel 1392 ad Ugone Santapau, in seguito ai Branciforte e poi nella metà del 1800 fu acquistato dai Chiaramonte-Bordonaro. L’ultimo ampliamento, ai primi del 1900, è dovuto ad Ernesto Basile. La splendida posizione, il magnifico palmeto che lo circonda, la serie di fabbricati affastellati intorno alle terre, presentano l’immagine di un grande posteggio. Oggi Falconara è tutta piena di villini e la sua ricca spiaggia è frequentata,oltre che dai nostri paesani, anche da bagnanti dei paesi viciniori. Vi si trovano dei magnifici ristori, negozi, un albergo e diversi lidi, ove i bagnanti possono trovare accoglienza. Derivazione latina, Arx Falconera, non mi pare perché la traduzione di Arx è arceo, luogo forte o per natura o per opera dell’uomo, luogo elevato che difende o domina una città o un territorio, quale altura, rocca, cittadella, baluardo fortezza. Arx per essere tale avrebbe dovuto avere un riscontro storico, piuttosto mi fa avvicinare ad arx falconara, non nel senso di feritoia per le artiglierie dette falconi (nelle antiche rocche) e nemmeno al termine marinaro falconiera, ma ad un luogo ove si allevano i falchi cioè alla falconeria che sarebbe l’arte di allevare e addestrare i falconi per la caccia; l’arte della caccia con i falconi; anche gli addetti all’allevamento dei falconi nelle antiche corti. Presso le corti medioevali, tutti i ricchi signori apprezzavano questa arte ed a proposito di ciò l’Imperatore Federico LI di Sveva compose perfino un trattato sulla falconeria, intitolato "Tractatus de arte venandi cum avibus" Il Castello assegnato nel 1392, assieme alla Contea di Butera, da Re Martino, ad Ugone Santapau, nel 1540 fu ereditato da Ambrogio Branciforte. Nel 1800 incontriamo Ercole Michele Branciforte Principe di Butera e poi avendo, la vedova Caterina Branciforte sposato il Conte Giorgio Welling, Ufficiale Tedesco venne in possesso del Castello perché costituiva parte dotale. Il Conte rimasto vedovo e senza figli lo lasciò al fratello Ernesto che lo vendette al Barone Antonio Chiaramonte Bordonaro. Il Castello, come detto altrove, è un fintoantico e non è più quello che potè essere in antico. Agli inizi del 1800 il Conte Welling lasciando intatto il corpo centrale dell’antico fabbricato, costruì una nuova ala verso il mare ove si vede l’attuale salone, la loggia laterale ed il magnifico terrazzo a picco sul mare. Ma l’idea dello scalone che dal piano della torre antica scende ed immette nella nuova costruzione pare che sia di sua moglie Caterina Branciforte. Dal nuovo proprietario Gabriele Chiaramonte Bordonaro fu fatta costruire un’altra ala che fu destinata ad accogliere la vasta collezione di ceramica; la ricca collezione di trofei di caccia grossa e l’interessante pinacoteca. L’interno del Castello, ricco di vani piccoli e grandi, di scale monumentali, dà delle piacevoli sorprese. Molti vani, vecchi e nuovi, conservano mobili pregiati ed una ricca mostra di ceramica preziosa. Il camino è pieno di trofei di caccia; teste di rinoceronti, gazzelle, leoni, zanne di elefanti, ecc. Oggi il Castello non ha tutto quel materiale che esistette in passato; visitato nottetempo da ladri è stato spogliato di moltissimi oggetti.
Omphake
La leggenda di Cocalo Si dice che Cocalo, venuto in Sicilia, nel 1300 a.C. re dei Sicani, avesse abitato ed avesse posto la sua reggia ad Omphake. Presso Cocalo arrivò Dedalo, fuggito da Creta per liberarsi da Minosse, perché voleva ucciderlo per la morte del Minotauro. (Il Minotauro era nato da Pasifae, moglie di Minosse, attraverso un accoppiamento con un toro, personaggio dal corpo umano e testa taurina). Poiché Minosse venne a cercarlo in Sicilia e chiese a Cocalo la consegna di Dedalo, Cocalo si rifiutò e così venne attaccato assieme a Dedalo da Minosse. Cocalo con inganno, mentre Minosse inseguiva Dedalo, lo fece cadere in un lebete di acqua bollente, ove Minosse mori, (ad Omphake). Si crede che Omphake sia Butera, ove Cocalo aveva la sua reggia e possibilmente doveva essere tra Piano della Fiera e Fontana Calda, nome derivato forse dalla leggenda della morte di Minosse nel lebete d’acqua bollente. Ad Omphake esisteva una sorgente la cui acqua bevuta da donne sterili, le rendeva prolifere e la conferma l’abbiamo avuta attraverso gli scavi condotti dal Prof. Adamasteanu con il ritrovamento di statuette votive di donne gravide nel tempio rilevato sopra Fontana Calda, il santuario campestre di Fontana Calda, sempre nel territorio di Butera. Morto Minosse, i suoi soldati non ritornarono in patria, ma si sparsero in Sicilia e così abbiamo il primo insediamento cretese in Sicilia. Questo è il periodo in cui la Sicilia fu chiamata Sicania, l’isola di Cocalo e Minosse. Io penso che Omphake possa essere stato il primo nome che abbia avuto la città di Butera. Omphake che può essere anche Omphakeo il cui significato sarebbe succo di acini dell’uva non ancora matura, o di Omphakinoo il cui significato sarebbe il ricavato della spremu ta delle olive non ancora mature, e il territorio di Butera era ed è ricco di questi prodotti. Potrebbe essere ancora una derivazione da Omphalos ombelico. Gli antichi greci designavano una sacra pietra che si trovava nel santuario di Apollo a Delfi e segnava il centro della terra. Dalle antiche descrizioni e figurazioni vascolari, e da un modello ritrovato a Delfi, si ricava che Omphalo era una pietra conica, dalla sommità ricoperta di lana intrecciata, due aquile d’oro le stavano a lato. Rohde ed Harrison credettero che Omphalo inizialmente rappresentasse la pietra sulla tomba ...; Roscher ed altri considerarono originario il significato di centro del mondo. Eliade, infine, ha sostenuto -che le due spiegazioni non si escludono a vicenda, ma si integrano; una tomba sacra, quale punto d’interferenza del mondo dei morti con il mondo dei vivi; è un centro simbolico e mistico. Sembra inoltre indubbio che Omphalo delfico appartenesse alla originaria religione ctonia del santuario, il nuovo culto di Omphalo si annesse il simbolo del suo valore sacrale,presso l’Omphalo di Delfi, luogo di rigenerazione per eccellenza, Oreste fu purificato da Apollo. Omphalos = Protuberdnza nel mezzo di una superficie, punto centrale, centro, centro della terra abitata. Io penso che Butera abbia tutte queste caratteristiche, per qual motivo non avrebbe potuto essere Omphake? Dedalo, grato verso Cocalo gli edificò la fortezza, il tortuoso ed inespugnabile Castello ed un’ampia muraglia ove Cocalo trasferì la sua reggia ed i tesori, compreso il capolavoro della statua di Giunone, venerata dai Siculi di quella città. La statua è definita capolavoro perché si allontana dalle normali, non è più un’immagine a lunga veste talare ove compaiono i soli piedi, Dedalo volle creare la statua con gli occhi dischiusi, braccia alzate e gambe aperte come per camminare, innovando dai goffi fantocci con piedi giunti e braccia attaccate al petto, a lui anteriori, che Diodoro ci descrive con parole perfettamente adatte ai primordiali Xoana (Dedaliche Parevan, sculture in legno. La tradizione ricorda un attacco ad Omphake comandato dall’ecista Antifemo durante la prima generazione della colonia greca in Sicilia, ed i segni di ellenizzazione più o meno contemporanei ai ritrovamenti dei greci di Gela, appartenenti al periodo della fondazione, appaiono anche a Butera, è possibile che inizialmente possa esserci stata una fase di coabitazione ad Omphake tra Sicani e Cretesi, comunque questo sarebbe stato il primo sito indigeno entro l’orbita geloa. Ritornando ad Antifemo, aggiungo che prima di arrivare a Gela, aveva distrutto Omphake, asportandone la famosa statua di Giunone, venerata dai Siculi di quella città trasportandola nella nuova città che chiamò Lindia. I Cretesi dal canto loro s’impadronirono della restante parte del territorio e fondarono una città che chiamarono Eraclea, dal nome della loro capitale dell’isola di Creta. (Holm-Pace, gli archeologi Orsi -Griffo-Adamasteanu-Orlandini). Venuti in Sicilia i Siculi, nel 1050, guidati da Siculo, figlio del Re Italo, di stirpe Osco-Ausonia e contemporaneamente i Liguri, di elementi comuni, ma con religione propria, con il culto dei Palici e cli Adrano ed influssi greco-italici, Sicani e Siculi vennero in lotte continue ed avendo vinto i Siculi, per prima cosa, cambiarono il nome dell’isola e da Sicania la chiamarono Sichelia. Le lotte continuarono ancora fino a che non furono segnati i loro confini. I Sicani vennero ad occupare la parte occidentale dell’isola, mentre i Siculi occuparono la parte orientale. Omphake, Butera, fu abitata dai Sicani i quali erano sparsi in tutto il territorio circostante. Abitazioni Sicane abbiamo nelle contrade di Consi, Piano della Fiera, Fontana Calda, Nostra Donna, S. Giorgio, Bosco Littorio, Santa Maria Dell’Alto, Spinello, Desusino, Milinciana, Gurgazzi, Diliella, Suor Marchesa, Priorato, S. Cusumano, Bommara, Sgricciolo, Pispisella, Disueri (si desume esserci stato a Disueri un grosso centro abitato, e si dovrebbero riprendere gli scavi), ecc. Ciò avvenne quando la popolazione fu costretta a portarsi sulle alture o in promontori verso l’interno ove vennero a formarsi dei piccoli centri abitati. Dopo i Sicani ed i Siculi abbiamo l’arrivo dei Greci e dei Fenici e la nascita di molte città greche, (VIII sec. a.C.). Zancle fu fondata nel 700 a.C, Leontini nel 729, Megara nel 728, Gela nel 689, Acre nel 664, Casmene nel 644, Selinunte nel 599, Camerina nel 599, Agrigento nel 581 dalla colonia Gelese. I coloni di Gela, avendo trovato la piana costiera disabitata, vi si insediarono e negli anni seguenti respinsero gli indigeni a Nord della cerchia di colline e occuparono vari luoghi situati in posizioni strategiche, come Mactorium nel 635. Il primo signore di Gela fu Cleandro Partareo, 505 a.C., che estese il suo territorio dal fiume Dirillo, presso Camarina, al fiume Imera, Salso, presso Licata, ma in questo territorio era compreso anche quello posseduto dagli indigeni all’interno e sui monti. In questo periodo un numero di Gelesi, appartenenti al partito vinto, si ritirarono a Mactorium, Butera, luogo posto sopra Gela e presero posizione minacciosa contro Gela, ma Feline, il cui avo era venuto a fondare Gela assieme ai Rodi e Cretesi, si recò dai ribelli e li indusse a tornare a Gela. Erodoto dice: «Quidam viri Geloni profugerunt in Mactorium Urbem quae sita est super Gelam»; e Fazello: «nel medesimo paese era Mactorium a sei miglia lontano da Terranova, su la riva si trova la bocca delfiume Naufrius il quale nasce sotto Butera, dove piglia il nome, e cento passi appresso segue la bocca del fiume larubba (Carruba), il quale nasce da San Pietro, che è lontano quattro miglia dalla foce, e a questo è vicino, due miglia Falconara, la quale è una rocca d’architettura regia, ancor che ella sia moderna. Dalla rocca di Falconara a dieci miglia è Butera e a diciotto Terranova.» Continuando a parlare di Omphake sulla lotta coi Sicani, combattuta dal fondatore di Gela, Antifemo, per la conquista di Omphake, città appollaiata su una collina che domina la pianura, è certamente un episodio di quella pressione a Nord-Ovest che doveva portare l’influenza diretta dello stato Gelese attraverso l’intermedio territorio collinoso, sull’altra pianura alla foce dell’alytos, Salso. Più diretta era l’azione Greca sui villaggi Siculi e Sicani che occupavano i colli ed i poggi che cingono la pianura gelese, ovunque il rilievo del sito offrisse propizie condizioni, e dei quali Omphake non era che uno dei tanti luoghi ricercati, per circostanze speciali della tradizione. Dobbiamo pensare che codesti antichi Sicani tornassero la sera, come con deplorevole tecnica avviene ancor oggi in tante parti della Sicilia, dal lavoro dei campi nella bella pianura, alla casa raccolta sul montano villaggio. Giacomo Caputo vuole collocare la vecchia capitale Sicana di Cocalo, nella necropoli di Sant’Angelo. Pace, in nota n. 1 a pag. 338 del V.I., sulla "Storia di Sicilia" scrive: «Tutte le notizie degli antichi si attagliano a questa idea, in attesa del lavoro del Caputo che sarà pubblicato in redazione Lincei, si può vedere, per le precedenti ipotesi sul sito di Camico, Holm, VI a pag. 134; il lavoro più notevole è quello dello Schubring, che ha idendificato Camico con Triocola, e l’ha collocato a Caltabellotta. Ma tanto questa ipotesi quanto quella che colloca Camico a Sutera, muovono dall’idea di trovare per essa un sito inaccessibile, il quale è vero soltanto se inteso in senso relativo, mentre l’altra racca di 5. Paolino di Sutera come quella di Caltabellotta, sono inaccessibili in modo pressoché assoluto, il che è incompatibile con un luogo di residenza e di dominio. » Io voglio aggiungere, se Antifemo, fondatore di Gela, per conquistare la città appollaiata su una collina che domina la pianura di Gela, ha dovuto combattere Omphake, e dopo aver conquistata la forte borgata indigena di Omphake, ne asportò la statua scolpita da Dedalo, come mai la sede regia di Cocalo da Omphake possa trovarsi altrove? Si legge ancora nella storia che per essere grato a Cocalo, Dedalo gli costruì un castello, il castello non potrebbe essere quello di Omphake denominato poi Camico datoché Omphake non si riscontra più nella storia? Pace in nota n. 1, pag. 201, dice: «Filistro, apd. Stef. Bis. Sv. per la vecchia identificazione di codesta località cìf. Amico, alle varie voci - Omphake appare negli eventi del 461 /60 a. C. La sua identificazione con l’aspra rocca di Butera resa improbabile dall’assenza di avanzi Siculi; cìfr. Orsi, NS. 1900. Per le medesime ragioni è impossibile riconoscere a Butera una Ibla. Con gli scavi del 195 1/58, Adamasteanu ha trovato la testimonianza che non ha dato allora l’Orsi, si può definire tanto il sito di Omphake, quanto il sito di Ibla Herea (la città di Desusino in contrada di Butera). Esistendo ormai, quell’anticaglia non trovata dall’Orsi, la svolta della storia dovrebbe dare una nuova indicazione, facendo entrare Butera, in quei periodi di lunga assenza, dalla denominazione di Omphake al riconoscimento di Mactorium in Butera, sino alla conquista Araba, Butera è stata ignorata per la mancanza di anticaglia e per un principio poco concepibile dell’Orsi che a Butera non vi fosse stata "veruna traccia di necropoli Sicula sulle alte rupi che circondano la borgata Le ricerche archeologiche iniziate su Gela da Orsi, riprese dal Griffa, Adamasteanu e Orlandini permettono di conoscere le linee principali di sviluppo. Questi storici (archeologi) concludono dicendo che fu un processo bifronte di occupazione militare e di penetrazione periferica ... ma per assicurare il possesso di questa xwpa (terra) agricola fu necessario occupare alcuni punti strategici sui colli soprastanti. Dicono che la tradizione ricorda un attacco al centro indigeno di Omphake comandato dall’ecista Antifemo durante la prima generazione della colonia greca. Holm dice: «Gela si deve considerare la città Sicana di Omphake che la conquistò e fra le prede trasse una statua scolpita da Dedalo». Anche Pace dice: «La statuetta portata in Gela dall’arcageta Antifemo quando conquistò la forte borgata indigena a Omphake, opera di Dedalo, è stato il primo .. . . Fazello dice: «La mia opinione paia che s’accosti a quella di Tucidide il quale pone nel medesimo paese di Gela ed Erodoto che nel medesimo paese era Mactorium», e Fazello conclude che: «nel medesimo paese era Mactorium a sei miglia lontano da Terranova in su la riva». A questo punto credo che non vi fosse alcun dubbio nel voler confermare che Omphake fosse Butera. Non esiste nessuna documentazione storica su Butera sino alla dominazione degli Arabi. Sappiamo solo che Butera durante il periodo Bizantino, fu militarmente una città importante e strategicamente sicura ed il Castello ben fortificato. Dice Edrisi: «Butera, rocca valida assai, di gran momento e di molta fama, è il pia bel soggiorno che si trovi presso nomadi o cittadini, quel che pia rassomiglia alle grandi e popolose città. Ben edificata e decorata con eleganza, ha dei palagi splendidissimi, dei mercati ben disposti e spaziosi, delle Moschee da farvi le preghiere pubbliche, un bagno e alberghi. La gira intorno un fiume dei più grossi dell’isola, il quale è fiancheggiato sempre da giardini. 11 territorio dà frutta squisita e abbondante e mirabile di produzione d’ogni maniera. Da Butera al mare sette miglia a un dipresso. » Alla estremità meridionale della rocca di Butera c’è il fortissimo Castello ricostruito da Guglielmo Il, dopo la distruzione di Guglielmo I, il Malo, nel 1161. Restaurato nel 1897 da Patricolo che datò le volte dell’ultima elevazione alla fine del XV sec. d.C., in relazione alla concessione del Castello nel 1392 da Re Martino ad Ugo Santapau. Nel 1904 crollò il terrazzo e nel 1924 la parte occidentale della torre, a causa dello spianamento dell’area sottostante per il realizzo della Piazza Vittoria. Nel 1935 venne ricostruita, dal Genio Civile, la parte occidentale. Restaurato nel 1958, parzialmente dalla soprintendenza di Palermo, nello stesso anno fu restaurato con i fondi dell’Assessorato Regionale del Turismo che dovrà interessarsi per il completo recupero dell’area del cortile fortificato, dal quale si gode un magnifico panorama sulla costa meridionale da Punta Braccetto al Castello di Palma Montechiaro, per essere destinato a Museo archeologico. La città esclusivamente Indigena è testimoniata soprattutto nello strato più antico della necropoli Buterese di Piano della Fiera, con tombe relative alla fase di Pantalica sud e ceramiche a decorazione dipinta, legata alle contemporanee culture della Sicilia occidentale. La posizione dominante della città Sicana doveva costituire una incombente minaccia per la sicurezza del possesso della pianura da parte dei coloni geloi i quali ben presto, 660/625 a.C. conquistarono ed occuparono definitivamente il centro indigeno di Butera. Tale precoce ellenizzazione, documentata dal secondo strato della necropoli di Piano della Fiera e insieme la forte posizione strategica del sito, hanno fatto proporre la sua identificazione con il centro indigeno di Omphake che, secondo Pausania, venne conquistato dallo stesso Antifemo, fondatore di Gela. La città continuò a vivere per tutto il VI e V sec. a.C. ed ebbe una vigorosa ripresa nella seconda metà del III sec. a.C. Abbiamo detto che il primo nome di Butera era Omphake, dopo fu chiamata Mactorium. Nel periodo bizantino, forse ebbe mutato il nome. Dagli Arabi in un documento dell’845 dopo l’occupazione Butera viene citata come Bothirah, in seguito Buthir. Nel 1093 fu dato il nome di Butera, la cui derivazione sarebbe: per Edrisi Butirah; per Ulmar B(u)tirah; per Maqquadosi Butirah; La fortezza di Butera tenuta dai Bizantini, venne conquistata dagli Arabi 23 anni dopo l’occupazione di Palermo. Butera circondata da valide mura e da formidabili torri, permetteva l’adito solamente per due porte, dette l’una San Pietro, rivolta a settentrione, l’altra Reale a Greco, allorché invidiata dai Musulmani venne, per comando del Saraceno Zaidet-allah-ebn-Ibrahim, presa nell’anno 827 da Adelcamo. Durante il periodo romano nascono due vie di comunicazione: Agrigento-Catania, ed Agrigento-Siracusa, con stazionamento, punto di unione delle due vie a Suor Marchesa, territorio di Butera, ove si trasferisce l’abitato dei casali che vengono in questo periodo spostati. A Suor Marchesa e a Perni abbiamo due stazionamenti per le vie di comunicazione verso Agrigento e la parte occidentale. In queste due stazioni vi erano tanti fondaci e luoghi di ristoro e grandi fattorie per la gente che ivi transitava. 1³ giusto ricordare che nel periodo che corre dal 652 al 669 gli Arabi hanno effettuato moltissime scorrerie in Sicilia, ma i tentativi di sbarco vero e proprio vanno dal 704 in poi. Nel 704 gli Arabi sbarcano in Sicilia e dopo avere invaso una città ne prendono il bottino e ripartono. Nel 727 la Sicilia viene assediata da Bisr-Ibn-Safwan che ritorna in Africa con molti prigionieri. Nel 728/29 sbarca in Sicilia un’armata con Utman-Ibn-Ubaydah. Nel 729/30 ritornano in Sicilia con Al-Hurayti ed assediano alcune città. Nel 730/31 venne ancora a far bottino Tabit-Ibn-Htiaym di Urdum in Siria. Nel 732/33 venne ancora a far bottino e prigionieri Abd-Al-MalitIbn-Qatan. Nel 733/34 Abu-Bakr-Suwyd, mandato da Ubaydah prendeva al-quante navi. Nel 734/35 gli Arabi in Sicilia subirono una sconfitta. Nel 740 Abd-Ar-Rahman correva vittorioso per le vie della Sicilia, a Siracusa sconfisse ed uccise la gente, strinse d’assedio la città e diede terrore sino a sottometterla, ma dovendo ritornare in Africa, per una ribellione ivi avvenuta lasciò Siracusa che restava salva. Nell’819/20 la Sicilia subiva un incursione da Muhammad-IbnAbd-allah e Ibn-al-Aglab. Questi occupata Mazara, vi lasciava un presidio e dopo avere occupato molti altri Castelli ed assicurata la linea d’operazione dell’esercito, Assad pigliò la via dei monti che portano a Siracusa, lungo la marina di Terranova e di lì continuò tra i monti in linea retta. Nelle campagne di Butera Abbas venne in battaglia con i Bizantini, ove caddero da nove a diecimila Bizantini, non combattendo ma fuggendo, ed i Musulmani confermano che solo tre credenti incontrarono la morte, il luogo di questa battaglia, assegnato da Ibn-Al-Atir, èButirah. Dice Amari: «che il luogo è un nome non dissimile, ma poco leggibile. Gli elementi calligrafici e topografici mi portano alla lettura probabilissima di Butirah (Butera). » Butera fu una forte città al tempo dei Musulmani, splendida e famosa nei feudi, che ottenne il primo titolo del regno fino alla riforma del 1848, nella quale il Parlamento Siciliano abolì la Parla ereditaria. Codesto nome geografico non appare più prima del IX sec. nè fabbriche o altri avanzi mostrano abitato il luogo; in età più antica fu cambiato solamente il nome sotto i Bizantini. La città sorge in cima ad un colle, a pochi miglia dal mare e dal fiume Imera, Salso; domina il fertile paese che gli antichi chiamavano campi geloi, fu in guerra un naturale rifugio per quella popolazione agricola nei tempi di selvaggio, albergo dei suoi oppressori. Sembra che alla prima scorreria dei cavalli Musulmani di Noto, quei villici più volte si fossero rifugiati in quella rocca, ma nell’anno 853, Al-Abbas, vedendoli affollati al solito covile, pensò di prenderli in rete. Assediò strettamente Butera per oltre cinque mesi, infine pattui con i terrazzani che gli consegnassero cinque-sei mila capi, scrive la cronaca, come se fossero capi d’armento, e l’esercito, portandosi dietro tanta torma di schiavi, se ne tornò a Palermo. Amari sostiene che sia Butera, perché la cronaca dà a questo luogo il titolo di città, poiché altre non se ne trovano i Sicilia antica né moderna da potersi adattare quelle lettere al suo nome. Nell’855 Abbas inviava una lettera a Mulci-Mahammed-DerrAbn-el-Abbas, ove fra tutte le altre cose sommariamente diceva: «arrivammo ad un quarto d’ora di cammino lontano da Butera, feci riposare la gente e diedi loro da mangiare, e dopo aver dato ordine di non risparmiare a nessuno la morte, c’incamminammo, e giunti a mezzogiorno abbiamo dato l’assalto a quella città che è assai grande. Un ‘ora prima di calare il sole eravamo padroni del castello, mi hanno regalato 600 monete d’argento e 100 d’oro, 100 buoi e 50 montoni da ammazzare e dare da mangiare agli uomini, e dopo aver fatto accomodare le rovine del Castello e lasciati 2.000 uomini di guarnigione, per poterli difendere, mi partii. » La grande e popolosa città di Butera, cadeva definitivamente e passava sotto il dominio degli Arabi. L’assedio era durato cinque mesi. Durante la dominazione Araba prosperarono i seguenti poeti Buteresi: 1) Abu-Zakaryya, fece la raccolta di tradizioni canoniche a cui dette il titolo "Il giardino dilettevole"; 2) Lbn-Abd-Rahman al Buthiri, operatore di Butera e recitatore del Corano, originario di Butera, fiorentissimo fin dall’epoca Araba; 3) Ibn-Muhammed al Buthiri, ha celebrato la persona del Re e lo splendore dei suoi possessi; 4) Ibn-Omar al Buthiri, emiro capostipite della dinastia degli Amoravidi che dominò il Marocco, l’Africa e parte della Spagna; 5)Abd-Ar-Rahman al Buthiri, oltre che poeta fu anche ottimo epistolografo e prosatore, da non confondersi con un omonimo di Trapani. Fu Segretario della corte ruggeriana, scrisse versi sulle ville e palazzi palermitani del Re. Le opere Arabe che sono rimaste a Butera, dopo la distruzione della città da parte di Guglielmo il Malo, sono: Il gigantesco e formidabile castello fabbricato verso la parte meridionale del Paese, con una porta d’accesso rivolta a settentrione, esiste solo la parte di una torre. Mostrasi di origine remotissima, le sue muraglia forti abbastanza e solide nella larghezza di 18 palmi, sostengono cinque ordini di volte. Internamente riscontransi, in un cortile di vastissimo spazio, magazzini per la conserva di orzo, frumento, riposti per armi, stalle per cavalli, profonde e spaziose fosse per ogni altro genere di alimentazione. Un insigne cisterna superava ogni aspettazione, era di forma ovale, con grande artefizio compatta, appoggiava al suolo e soltanto esternamente acuminata, dagli altri due lati stando da sé sola sembrava quasi del tutto opera di un solo masso. Le fonti esterne della fortezza erano da ogni parte inaccessibili; I resti di una torre a settentrione, in una proprietà di Provinzano, questi si possono vedere dalla Villetta di Dezia; Una torretta, ancora esistente, nel fabbricato Boscaglia, sarebbe al centro di Butera ed in mezzo alle due torri principali; Un’ampia porta di stile Arabo che immette nella sede del Municipio, ci porta ad immaginare l’esistenza di un importante palazzo che doveva servire forse da abitazione all’Emiro o, stando alla relazione di Edrisi, era una Moschea, aperta alla pubblica venerazione. A Butera, come detto altrove, sino al 1150 d.C. esisteva una Moschea, la terza Moschea costruita in Sicilia, dopo quelle di Palermo e di Catania; in questa Moschea oltre al culto si esercitava l’insegnamento per i giovani.